le origini

da residenza rurale a strutture di rappresentanza anche destinate ai piaceri fisici e intellettuali

l'evoluzione

centro di organizzazione agricola e luogo di svago... ville monumentali ... ville come complessi agricoli ...

la diffusione

prima come presidio del territorio, poi indice di benessere, ora necessità di recuperare il rapporto uomo-natura

le forme

variate nel corso dei secoli con gli stili architettonici, ridefiniti dai materiali locali e dalle disponibilità economiche

la struttura

torre, corte, in semplicità senza sfarzo, oppure scalinate, esedre, ampi volumi, comunque logge aperte sulla natura

elementi decorativi

fontane, fregi, capitelli, lanterne, stucchi, affreschi, balaustre, serrature, banderuole, mensole, ed altro ancora ...

La storia della masseria è indissolubilmente legata alla storia dell’Italia meridionale che è storia travagliata, storia di miseria, di violenza, di sopraffazione, di ignoranza, di diritti negati, storia che affonda le sue radici nell’antichità, addirittura nei primi secoli dell’Impero romano, quando, Plinio il Vecchio per spiegare la crisi dell’agricoltura afferma che “i latifondi avevano rovinato l’Italia”. Origini La masseria ha origini antichissime; i primi esempi, infatti, risalgono al tempo della colonizzazione greca nel meridione (VIII-VI secolo a.C.). Essa era intesa come organizzazione sistematica del territorio ed era finalizzata ad attività agricole. A partire dal V secolo a.C. i Romani concentrarono le proprietà in poche aziende latifondistiche, dando origine alle “massericiae”, entità rurali che sfociaron o poi in insediamenti residenziali e produttivi, detti “villae” o “massae” . Dal V al XV secolo La “villa romana” con le invasioni barbariche (V secolo d.C.) fu abitata dal nuovo signore barbaro che la fortificò per la difesa e per l’offesa. La “massa” subì una profonda trasformazione nel IX secolo ad opera di Carlo Magno che creò una nuova entità rurale chiamata “feudo”. Nel XI secolo arrivarono nell’Italia meridionale i Normanni che trasformarono i feudi in “masserie villaggio” (tipologia non presente in agro mesagnese).Con l?arrivo degli Svevi, sempre nel meridione, nacquero le “masserie regie” (tipologia non presente in agro mesagnese) dedite alla coltura di cereali e all’allevamento di cavalli. Nel XV secolo l’Italia meridionale passò agli Aragonesi che eliminarono tutti i privilegi concessi precedentemente ai contadini. Gli unici a conservare qualche beneficio furono gli addetti alla transumanza che ebbero il permesso di costruire fabbricati su terreni adibiti a pascolo, destinati all’abitazione, al ricovero per gli animali e alla lavorazione di prodotti caseari. Sorsero, così, le “masserie di pecore” dette anche “iazzi”, distinte da quelle in cui si praticava la coltivazione, dette “posta”, perchè erano postazioni fisse a cui si ritornava al termine della giornata. Dal XVI al XIX secolo La tipologia della masseria del sec. XV, che era rimasta invariata nei secoli XVI e XVII, subì sostanziali cambiamenti con l’arrivo dei Borboni nel meridione (sec XVIII). Essi espropriarono i feudi ecclesiastici dei quali si impadronì la borghesia rurale che organizzò il latifondo in masseria, nella quale emerse la figura del massaro che coordinava il lavoro dei contadini. Nel XIX secolo, con l’applicazione in Italia del codice napoleonico, furono assegnati ai contadini poveri terre demaniali per uso semina, pascolo o legna, ma le quote furono così piccole che i contadini si videro costretti a venderle per poter sopravvivere. La borghesia rurale continuò ad essere, nel meridione, dominante facendo perdurare il latifondo che nel resto d’Italia si era ormai da tempo disgregato. Decollarono anche con la coltura dell’ulivo e della vite, le “masserie di campagna” che diedero lavoro ad un alto numero di salariati: massari di campo, gualani, bovari, massari di vacche e di pecore. Subito dopo l’unità d’Italia (XIX sec.) i contadini delusi (briganti) devastarono molte di queste masserie. Verso la fine del XIX secolo i signori scelsero le masserie come loro residenza per controllare l’andamento delle attività. A tale scopo nacquero le “masserie palazzo” che segnarono un periodo di massima efficienza. Era enorme il numero di dipendenti: dal fattore al massaro, ai salariati fissi, gualani e lavoratori occasionali nei periodi di raccolta delle olive e nei periodi di semina e mietitura. Secolo XX Nel XX secolo, dopo i conflitti mondiali, le condizioni dei contadini peggiorarono. Con la parola d’ordine “la terra a chi lavora” si emanò la “riforma agraria” che espropriò e frazionò i latifondi. La vita delle masserie subì notevoli ridimensionamenti e molte furono abbandonate o utilizzate modificando abitudini e bisogni. Il latifondismo, consolidatosi al Sud nelle forme feudali della grande proprietà indivisa, scarsamente produttiva possedute prima dai signori feudali ed ecclesiastici ed accaparrate poi dalla borghesia meridionale, ha favorito la nascita della masseria, così diffusa nel nostro territorio. Luoghi di sfruttamento quindi, di povertà, di emarginazione, in tutto il Sud, oggetto ancora oggi di dibattito politico-economico, povertà che poi sfocerà nella emigrazione come forma di definitiva perdita di speranza, per molti, che lo Stato si accorgesse della gente del Sud, eppure… Si respira all’interno della masseria uno spirito di adattamento che è ancora tensione, attesa, speranza di cambiamento che spinge alla condivisione, all’aiuto vicendevole. Nata quindi da eventi storici negativi, la masseria diventa luogo di valori positivi, a testimonianza del carattere dell’uomo del Sud, che non lasciandosi prostrare dagli oppressori, nasconde sotto l’apparente rassegnazione e sottomissione, la potenza del povero contro la prepotenza del ricco sfruttatore.